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giovedì 6 novembre 2014

Lao-Tzu, fondatore del taoismo.


Si dice che il fondatore del Taoismo sia stato un filosofo della Cina antica, Lao-Tzu, che è in realtà un soprannome che vuol dire "vecchio maestro" -,  ma il suo vero nome era Chung-erh o Po-yang o anche Lao tan. Visse nel 6° secolo a.C. ed era di qualche anno più vecchio di Confucio. Fu storiografo negli archivi imperiali. Si dice che Confucio si sarebbe incontrato con lui e sarebbe stato colpito dalla sua saggezza. Lao tzu abbandonò il suo incarico quando la corte cominciò a dare segni di decadenza e se ne andò verso ovest. Arrivato al passo di Han-ku, il guardiano Yin Hsi gli chiese di scrivere un libro per lui e Lao tzu espose allora le sue dottrine nel libro intitolato  "Tao Te ching". Poi partì e non se ne seppe più nulla. 







Il libro si apre con una descrizione del Tao. 
La parola significa propriamente via e quindi anche modo di condursi, sistema. Tao  indica ciò che consente alle cose di essere quello che sono; è ciò che dà loro l'esistenza .
Tutte le cose esistono nel Tao e il Tao è presente in tutte le cose. Finché le cose avvengono naturalmente, tutto è armonico e nulla turba l'equilibrio cosmico. L'uomo, se vuole vivere felice, deve seguire il Tao senza ostacolarlo. In questo senso, egli non deve agire, nel senso che non deve modificare l'armonia dell'universo. Se lo fa, allora non è più in accordo col Tao. Il principio della inazione (wu wei) non indica quindi il rimanere ozioso, senza far nulla, ma è piuttosto basato sul riconoscimento che l'uomo non è la misura e la sorgente di tutte le cose, ma lo è soltanto il Tao. La vita è vissuta bene solo quando l'uomo è in completa armonia con tutto l'universo e la sua azione è l'azione dell'universo che fluisce attraverso di lui. Il bene non viene compiuto dall'azione spinta dai desideri, ma dalla inazione (wu wei) che è ispirata alla semplicità del Tao.





 "Il Tao in eterno non agisce eppure non c'è nulla che non sia fatto. Se chi governa si attenesse ai suoi principi, gli esseri si svilupperebbero da soli. Se durante questo sviluppo crescesse il desiderio, basterà risvegliare in essi l'originaria semplicità di quello che non ha nome. La semplicità del senza-nome genera l'assenza del desiderio; l'assenza del desiderio genera la serenità, così l'impero si consolida da solo"